TITOLO DEL PROGETTO
Identificazione Precoce di Markers Molecolari dei Tumori Tiroidei
RESPONSABILE
Prof Sebastiano Filetti
OBIETTIVI
La Banca d’Italia ha valutato l’opportunità di sostenere nel 2007 un progetto della Fondazione Umberto Di Mario, sotto la direzione scientifica del Prof Sebastiano filetti, volto a studiare l’identificazione Precoce di Markers Molecolari dei Tumori Tiroidei, che ha permesso di individuare alcune alterazioni a livello di vie molecolari chiavi nella tumorigenesi tiroidea (via di trasmissione del segnale di Notch; BRAF e via di trasmissione del segnale MAPK).
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Tumori della Tiroide
Prof Sebastiano Filetti
Premesse
La patologia nodulare tiroidea è molto frequente: è stato stimato che oltre il 5% della popolazione generale sia portatrice di noduli clinicamente significativi a carico della ghiandola tiroidea. Tale percentuale sale fino al 50% se si considerano i noduli clinicamente “silenti”, identificati incidentalmente nel corso di esami ecografici del collo. A fronte di una elevata prevalenza di noduli, la percentuale di forme maligne è bassa (circa il 5-10%). Tali dati si traducono in termini assoluti nella presenza di almeno 200.000 pazienti affetti da carcinoma tiroideo nella sola Europa. Studi epidemiologici suggeriscono che tali numeri sono in progressiva crescita: negli ultimi decenni si è assistito ad un aumento dell’incidenza annua delle forme tumorali tiroidee di circa l’8,1% nelle donne e di circa il 6,2% negli uomini. Tale andamento sembra essere dovuto soprattutto alla maggiore sensibilità dei mezzi diagnostici, più che ad un reale impatto dei fattori ambientali.
La prognosi dei tumori della tiroide resta globalmente favorevole. Essa è strettamente correlata a tre variabili:
1. età: vi è un progressivo aumento della mortalità con l’età;
2. tipo istologico: la prognosi risulta migliore nel caso di Carcinomi Differenziati della Tiroide (Carcinomi Papilliferi e Follicolari); peggiora in caso di forme poco differenziate o francamente indifferenziate, e di tumori che originano dalle cellule parafollicolari della tiroide (Carcinomi Midollari);
3. estensione della malattia al momento della diagnosi: le dimensioni del tumore primitivo, la presenza di malattia localmente avanzata o di metastasi a distanza si associano ad un incremento della mortalità; le localizzazioni a distanza rappresentano la principale causa di morte correlata al carcinoma della tiroide, ma a differenza delle metastasi da altri tipi di tumore, esse sono compatibili con una sopravvivenza a lungo termine in una significativa proporzione di pazienti.
Dal momento che l’estensione di malattia al momento della diagnosi ha un impatto sfavorevole sulla sopravvivenza, è di fondamentale importanza arrivare ad una diagnosi precoce del tumore tiroideo. D’altra parte, in caso di malattia avanzata (metastasi loco-regionali o a distanza) ed estese localizzazioni tumorali, gli strumenti terapeutici tradizionali, quali la chirurgia, la terapia radiometabolica, la chemioterapia e la radioterapia risultano essere scarsamente efficaci nel bloccare l’evoluzione della malattia e non incidono significativamente sulla sopravvivenza degli affetti.
Finalità della Fondazione Umberto Di Mario
Obiettivo della Fondazione è di dare un contributo alla ricerca oncologica tiroidea sia in campo diagnostico che terapeutico. Le finalità sono nel primo caso, di permettere una più precoce individuazione delle forme tumorali, nel secondo caso, di fornire strumenti validi per la gestione delle forme tumorali avanzate, non responsive ai trattamenti tradizionali.
Linee di ricerca
1. Diagnosi di malattia
L’esame citologico su agoaspirato riveste un ruolo centrale nella diagnosi differenziale tra noduli benigni e noduli maligni. Tuttavia, circa il 10% delle lesioni nodulari sono classificate all’esame citologico come “indeterminate”: in questi casi, infatti, non è possibile distinguere le forme benigne (i cosiddetti adenomi follicolari o a cellule di Hurthle), dalle forme maligne (i carcinomi follicolari o a cellule di Hurthle). Circa il 10-20% degli esami citologici definiti come “indeterminati” risultano essere maligni. In questi casi il clinico si trova di fronte ad una duplice scelta: mantenere sotto stretta osservazione clinica il paziente, con il rischio di tardare la diagnosi di tumore tiroideo o inviarlo direttamente all’intervento chirurgico, con la possibilità (80-90% dei casi) di far asportare una ghiandola tiroidea contenente noduli benigni.
Obiettivo: identificare marker genetici o molecolari capaci di discriminare, nell’ambito delle lesioni nodulari tiroidee ad oggi classificate come “indeterminate”, le lesioni benigne dalle lesioni maligne.
2. Genetica dei tumori della tiroide
Circa il 25% dei Carcinomi Midollari della Tiroide apparentemente sporadici sono ereditari (Carcinomi Midollari della Tiroide Familiari) e presentano un rischio di trasmissione alla prole pari al 50% (trasmissione di tipo autosomico dominante). In alcuni casi queste forme possono associarsi alla comparsa di altre patologie tumorali, inquadrandosi nelle cosiddette Neoplasie Endocrine Multiple di tipo 1 e di tipo 2. Le aumentate conoscenze dei meccanismi molecolari e clinico-patologici alla base di tali Sindromi hanno reso possibile, oggi, la realizzazione di test genetici che permettono diagnosi precoce e trattamenti individualizzati sulla base delle informazioni genetiche. L’utilizzo di tali conoscenze nella pratica clinica ha condotto ad un significativo miglioramento della morbilità e mortalità delle forme ereditarie di Carcinoma Midollare della Tiroide. Il modello delle Neoplasie Endocrine Multiple rappresenta un paradigma di applicazione delle informazioni genetiche nella gestione delle patologie oncologiche. Tuttavia i meccanismi molecolari alla base della formazione dei tumori spesso non sono noti.
Nel caso dei Carcinomi Differenziati della Tiroide, ci sono evidenze di una maggiore aggregazione di tali forme tumorali in determinate famiglie, lasciando supporre l’esistenza di alterazioni genetiche ereditarie.
Obiettivo: aumentare la conoscenza delle basi genetiche dei Carcinomi Differenziati della Tiroide, e conseguentemente migliorare: la valutazione del rischio tumorale, i programmi di prevenzione, le strategie diagnostiche e terapeutiche dei pazienti affetti e delle loro famiglie.
3. Terapie molecolari “bersaglio”
Circa il 10% dei pazienti con Carcinoma Differenziato della Tiroide (Carcinoma Papillifero e Follicolare) presenta metastasi a distanza, localizzate soprattutto a livello polmonare e a livello osseo. Il trattamento di elezione in questi casi, là dove non sia possibile intervenire chirurgicamente, è rappresentato dalla terapia radiometabolica con iodio radioattivo (131I). Il tessuto tiroideo, sia sano che tumorale, è infatti avido di iodio; somministrando per bocca dosi elevate di 131I, le cellule neoplastiche captano il radiofarmaco, concentrano la radioattività nelle sedi in cui è presente il tessuto tumorale e vanno incontro a processi di necrosi (morte cellulare). Tuttavia, circa il 30% dei pazienti con metastasi a distanza non capta lo iodio e, tra quelli che captano il tracciante radioattivo, circa il 57% dei casi non ottiene una remissione di malattia. In questo sottogruppo di pazienti le opzioni terapeutiche alternative sono rappresentate dalla chemioterapia e dalla radioterapia, che tuttavia si sono dimostrate scarsamente efficaci.
Tra i tumori della tiroide i Carcinomi Midollari della Tiroide rappresentano una delle varianti più aggressive. La prognosi di tali neoplasie è favorevole qualora vengano diagnosticate e trattate in una fase precoce di malattia, quando il tumore è ancora limitato alla ghiandola tiroidea (sopravvivenza a 10 anni pari a circa il 90%). Sfortunatamente molti pazienti presentano malattia localmente avanzata (localizzazione a livello dei linfonodi del collo) e metastasi a distanza (polmoni, fegato ed ossa) già alla diagnosi. In questi casi la prognosi è estremamente severa: la sopravvivenza a 10 anni dalla scoperta delle metastasi è di circa il 20%. La terapia tradizionale (chemioterapia e radioterapia) non migliora significativamente la sopravvivenza di tali pazienti.
A fronte della scarsa efficacia nel trattamento dei Carcinomi Differenziati della Tiroide e del Carcinoma Midollare della Tiroide, la terapia tradizionale espone il paziente ad un elevato grado di tossicità. Sia la chemioterapia che la radioterapia sono caratterizzate infatti da una bassa selettività di azione per le cellule tumorali: il loro effetto si esprime non solo sulle cellule tumorali, ma anche su tutte le cellule normali dell’organismo caratterizzate da un’alta capacità proliferante, quali le cellule della cute, della mucosa orale o gastrointestinale e del midollo osseo. Le conseguenze sono la comparsa di effetti collaterali importanti che gravano sulla qualità di vita del malato e che a volte ne mettono a rischio la durata stessa: alopecia, nausea, vomito, immunodepressione, turbe della coagulazione.
Negli ultimi anni la ricerca in campo oncologico ha concentrato i suoi sforzi nella creazione di nuovi farmaci antineoplastici dotati nel contempo di una maggiore efficacia terapeutica e di una minore tossicità. Le conoscenze sempre maggiori in biologia molecolare consentono oggi di studiare la differente espressione dei geni coinvolti nella tumorigenesi (genomica) e delle proteine da esse prodotte (proteomica). Tali informazioni permettono di determinare il profilo molecolare delle neoplasie, di identificare i meccanismi coinvolti nel processo di trasformazione e progressione tumorale. Di conseguenza è possibile identificare un preciso bersaglio sulle cellule tumorali e sviluppare nuovi farmaci capaci di agire selettivamente a questo livello. E’ su queste basi che si fonda la cosiddetta terapia molecolare “bersaglio” o “mirata” o “intelligente”.
Le caratteristiche ideali che contraddistinguono questo nuovo approccio terapeutico sono:
1. selettività di azione su particolari substrati delle cellule tumorali
2. selettività di azione su una precisa tipologia tumorale
3. assenza di azione a livello delle cellule sane con conseguente minore profilo di tossicità (effetti collaterali minori), anche nel caso di impiego prolungato nel tempo
4. possibilità di somministrazione per via orale, mantenendo il paziente in regime ambulatoriale
Obiettivo: Individuare e sperimentare nuovi farmaci a bersaglio molecolare che garantiscano un giusto rapporto tra qualità delle cure e qualità della vita nei pazienti affetti da Carcinoma Differenziato, Indifferenziato e Midollare della Tiroide per i quali non esistono trattamenti efficaci.
In particolare le linee di ricerca sostenute dalla Fondazione mirano a:
1. individuare terapie molecolari capaci di indurre una “differenziazione” tumorale nei Carcinomi Indifferenziati della Tiroidei; lo scopo è di promuovere l’espressione da parte delle cellule tumorali del recettore per lo iodio (NIS), la captazione dello stesso e di conseguenza la risposta al trattamento con iodio radioattivo (131I)
2. individuare terapie molecolari bersaglio in grado di correggere le alterazioni molecolari responsabili della proliferazione e della diffusione delle cellule tumorali dei Carcinomi Differenziato, Indifferenziato e Midollare della Tiroide; tra i possibili bersagli molecolari oggetto di studio si annoverano:
– RET, un recettore cellulare ad attività tirosin chinasica responsabile di circa il 50% dei Tumori Differenziati della Tiroide, della totalità dei Carcinomi Midollari della Tiroide Familiari e di circa il 40-50% dei Carcinomi Midollari della Tiroide Sporadici; l’inibizione dell’attività di tale recettore potrebbe essere efficace nel trattamento delle suddette neoplasie.
– VEGF-R, un recettore presente sulla superficie delle cellule dei vasi sanguigni (cellule endoteliali), che a seguito del legame col suo specifico ligando, il VEGF, promuove la proliferazione delle cellule endoteliali e la formazione di nuovi vasi sanguigni (angiogenesi); è attraverso questo processo che i tumori si garantiscono un apporto adeguato di ossigeno e nutrienti necessari alla loro crescita e diffusione; tale recettore è iperespresso nei tumori tiroidei e pertanto si può ipotizzare che il blocco del suo segnale potrebbe inibire l’angiogenesi e quindi l’accrescimento e l’espansione tumorale.